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Doppio Stato, storia e memoria
Lo Stato imperialista delle multinazionali non esisteva. Le Br cominciarono
ad averne un chiaro segnale nei giorni del rapimento di Aldo Moro, quando il
loro ostaggio rispondeva alle domande del processo senza cogliere gli intrecci
che sottintendevano i brigatisti. Essi pensavano che ci fosse non già uno Stato
nello Stato, ma un Sovrastato, potenziato e guidato dagli Stati Uniti, in grado
di coordinare le politiche nazionali dei vari paesi del blocco occidentale. Quel
mondo, pensavano i rapitori di Moro, stava andando verso una svolta strutturale
che ne avrebbe mutato alle fondamenta le caratteristiche. Sarebbe cominciata la
delocalizzazione del lavoro, la ristrutturazione della produzione e il primato
del capitale finanziario su quello produttivo. Ma il processo non era
irreversibile. Nella loro ipotesi, bastava scoprire gli ingranaggi, gli uomini,
i referenti dello Sim per fermarlo e Moro era uno di questi.
Si trovano, nella teorizzazione dello Sim, grandi intuizioni e capacità di
lettura della realtà (fu ipotizzata nel 1975), ma anche terribili ingenuità. La
divisione del mondo in buoni e cattivi, in sodali e vittime innocenti non
appartiene a una realtà complessa, che deve sempre tenere conto di moltissime
forze, spesso in competizione, per restare in equilibrio. Quest'ultima
considerazione si attaglia anche alla cosiddetta teoria del doppio Stato,
recentemente tornata attuale dopo un intervento del presidente Napolitano e gli
articoli di noti giornalisti, in particolare del vicedirettore del Corriere
della Sera Pierluigi Battista. Secondo alcuni, in Italia avrebbe a lungo
convissuto un sistema nel quale lo Stato ufficiale sarebbe stato solo la parte
visibile, emersa dell'intero apparato; alle sue spalle, nascosto, avrebbe agito
un secondo Stato, che sarebbe coinvolto in un complesso disegno eversivo che
partirebbe addirittura dalla strage del Primo Maggio 1947 a Portella della
Ginestra, per dipanarsi attraverso tutta la storia italiana del secondo
dopoguerra.
Un secondo Stato, dunque, all'interno del quale intere generazioni di
funzionari, militari e civili, si sarebbero passate il testimone del complesso
disegno. Questa ipotesi, che spesso diventa certezza in alcuni racconti, ha un
grande pregio, ossia quello della semplificazione estrema: da una parte i
democratici fedeli al dettato costituzionale, dall'altra i reazionari
antidemocratici che pur di portare a termine il proprio sogno eversivo non hanno
esitato a mettere bombe, depistare, assassinare personaggi divenuti scomodi. Per
contro, i difetti sono molti, e tutti molto marcati. Uno studioso non può certo
accontentarsi di una teoria senza riscontri, anche se a prima vista possa
tornare o, comunque, risolvere molti problemi. E i riscontri, per il doppio
Stato, mancano. La filiera non è mai completa, i fatti si contraddicono, gli
attentati e i depistaggi, veri o presunti, si accavallano senza una logica.
Quando è stata scoperta la P2, molti ritennero che si fosse giunti alla testa
del mostro. Poi, però, si è scoperto che in realtà i piduisti non erano dei
golpisti, ma degli ultratlantisti, patrioti a modo loro, anzi, patrioti secondo
molti parametri. La stessa delusione la diede Gladio; a capo Marrargiu non ci si
addestrava per commettere attentati, ma per organizzare la resistenza armata
contro l'invasione dell'esercito ungherese, quello destinato all'Italia in caso
di guerra con il Patto di Varsavia. L'Italia sarebbe stata divisa in due e la
resistenza concentrata, in attesa dei nostri, in Sicilia e Calabria.
Se manca il nucleo di questo secondo Stato, ridurre tutto a uno Stato nello
Stato, inoltre, impedisce allo storico e all'osservatore di cercare le
responsabilità politiche che si sono succedute nel corso degli anni, di
analizzare gli episodi al di fuori di contesti più ampi (per esempio
internazionali), riducendo la storia italiana a mero complotto. La strage di
Ustica e la copertura che è stata fatta del tentativo di uccidere il leader
libico Gheddafi sui cieli italiani è paradigmatica di quanto vado qui
sostenendo. Gli Stati Uniti non solo fallirono l'obiettivo, ma per errore
provocarono l'abbattimento di un aereo di linea dell'Itavia e 81 morti civili.
Le strutture dell'Aeronautica Militare italiana coprirono l'accaduto, ma poi la
politica, tutta la politica, da sinistra a destra, mantenne il segreto sui fatti
e a distanza di quasi trent'anni ancora non abbiamo una versione ufficiale da
parte del nostro Stato. Davvero ne serve un secondo per coprirci di vergogna? Si
è trattato di uno dei maggiori, se non del maggiore depistaggio della storia
repubblicana, eppure non compare mai tra le prove dell'esistenza di questo
doppio Stato. Sarà perché a noi Gheddafi piace particolarmente se, a parte gli
accordi antimigranti degli ultimi mesi, addirittura il nostro presidente del
Consiglio di allora, Bettino Craxi, lo avvertì nel 1986 dell'imminente
bombardamento americano del suo quartier generale.
Se tutto questo è vero, però, non si può certo liquidare così la questione,
né si può concordare pienamente con lo spirito delle parole del presidente
Napolitano, che chiede una generica ricerca della verità senza assumersi la
responsabilità di una posizione; neanche l'articolo liquidatorio di Battista,
del resto, ci soddisfa, perché quanti, allora come oggi, ritennero quella di
Piazza Fontana una "strage di Stato", cosa molto criticata dal giornalista,
avevano e hanno motivi a sufficienza per farlo. E non bastano certo le parole di
un presidente della Repubblica per superare il problema. Da quando, mi chiedo
inoltre, la storia devono scriverla i politici?
Pierpaolo Pasolini poco prima di morire stava lavorando alla stesura di un
grande romanzo, Petrolio , che non riuscì a terminare. È la storia dell'Italia
malata, dell'Italia delle stragi e delle morti violente, all'interno della quale
si muovono persone reali, con nomi e cognomi e funzioni vere, non presunti
attori mascherati o vestiti di ombre. In quei mesi Pasolini dichiarò di sapere i
nomi dei mandanti, di conoscere i luoghi da dove erano partiti gli ordini delle
stragi. Era il suo mestiere, disse, quello di conoscere queste cose, perché era
uno scrittore.
Questa storia è stata ricostruita in un recente libro, Profondo Nero, uscito
per Chiarelettere da poco. L'Italia, sapeva Pasolini, è un paese fatto di tanti
piccoli, a volte miserrimi interessi, che vanno tenuti insieme attraverso
piccoli spostamenti, aggiustamenti appena percettibili. Qual è la logica per cui
la nostra fedeltà alla Nato si è manifestata anche attraverso le bombe e gli
attentati? La matrice degli attentati che hanno prodotto la carneficina che
conosciamo è di destra. Esistono dei nomi, dei processi, delle condanne, delle
prove al riguardo. In alcuni casi siamo certi, come per Piazza Fontana, in
altri, come per Bologna, sorgono dei dubbi. Di materiale esplosivo e volontà
eversiva fu piena l'Italia del dopoguerra. I gruppi neofascisti cominciarono a
formarsi già dal 25 aprile e si svilupparono in particolare al Nord, dove infine
negli anni Sessanta si passò all'azione. In determinanti momenti forze esterne,
come poteva essere la Cia, o interne, come singoli uomini all'interno dei
servizi, istigarono, o lasciarono fare, o coprirono post factum. Per questo
Piazza Fontana è strage di Stato e per questo la Stazione di Bologna è stato un
attacco preciso al nostro paese da parte di un nemico, interno o forestiero.
Grazie a contingenze internazionali e a capacità interne il paese ha retto,
nonostante tutto. Ora, da un po', navighiamo a vista, senza attentati ma con il
pericolo incombente di veder realizzato per volere del popolo quello che non
riuscì agli eversori di destra. In quel caso non si potrà più usare la parola "doppiostato",
ma populismo. Dubito che chi ancora grida alla luna se ne renda conto per tempo.
Marco Clementi (Liberazione.it 30 maggio 2009)
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