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Sofri, i collaboratori e la sentenza Pinelli. Una lettera
di familiari di vittime con risposta di Sofri
FRANCESCA DENDENA, SILVIA GIRALUCCI, MANLIO MILANI E BENEDETTA TOBAGI
Tre osservazioni riguardo all´articolo di Adriano Sofri (5 febbraio 2009),
che ci è parso sgradevole nel tono e privo di consequenzialità nelle
argomentazioni.
1) «È la morale dei bambini cui si insegna a non fare la spia, o del
pescatore di De André». Meno di un mese fa abbiamo ricordato con emozione la
scomparsa di De André. Il Pescatore è un testo bellissimo in cui l´artista
lascia un´apertura, un´ambiguità finale, dopo l´arrivo dei gendarmi: il
pescatore assopito è ancora vivo? Parla o tacerà? Il cuore del testo è
l´immagine di un uomo quasi figura del cristo, che spezza il pane e dà conforto
persino agli assassini. Un inno all´amore per il prossimo, non all´omertà.
2) «Preferirei perdere la mia libertà e la stessa vita […] pur di non
mandare in galera qualcuno». Non è così facile per un privato cittadino misurare
la "minaccia attuale" rappresentata da qualcuno. Vorremmo ricordare che senza il
contributo fondamentale e purtroppo tardivo di alcuni collaboratori di
giustizia, magistrati tenaci non avrebbero mai potuto istruire i più recenti
processi per la strage di piazza Fontana (che ha dato importanti contributi alla
verità) né quello ancora in corso per la strage di piazza della Loggia. Se
qualche persona in più, oltre a Rossa, prima e dopo di lui, avesse avuto il
coraggio di denunciare quel che sapeva, tanti uomini oggi sarebbero vivi.
3) La morte di Pinelli, trattenuto, innocente, in Questura oltre lo
scadere del fermo di Polizia, è ben presente a tanti cittadini; è doveroso
ricordarla e renderle omaggio, ma il linguaggio confuso dell´invettiva e delle
contrapposizioni non è quello appropriato. È stata oggetto di indagini lunghe e
ripetute, e le sentenze sono pubbliche. Non è nel libro pubblicato dalla
Presidenza della Repubblica perché non è un atto di terrorismo (chi afferma il
contrario è pregato di esplicitare la propria definizione del fenomeno). Il che
non toglie il fatto che sia una vicenda tragicamente collegata a piazza Fontana
e una ferita per tutto lo Stato democratico.
Risponde Adriano Sofri
Ho lealmente espresso la mia personale ripugnanza per la delazione, quando
non sia tesa a impedire un male fatto ad altri. Ne abbiamo appena avuto un
odioso esempio nel voto che autorizza (e di fatto istiga) i medici a denunciare
i malati senza carte in regola. Voi mi offendete chiamandola omertà, che mi
ripugna quanto a voi. Non so se il pescatore con la sua specie di sorriso sia
ancora vivo: so che non parlerà. Ha dato pane e vino a un suo simile in fuga.
Nella citazione «preferirei perdere la mia libertà...» (l´ho perduta, del resto)
avete omesso la riserva: «Salvo che si tratti di sventare una minaccia attuale
contro altre persone, come seppe fare Guido Rossa». Questo toglie senso alla
vostra conclusione: «tanti uomini oggi sarebbero vivi». Infatti. La verità sulla
strage di piazza Fontana era a disposizione fin da allora, se uomini e apparati
dello Stato non l´avessero sequestrata. Ho detto che Pinelli non figura in quel
libro della Presidenza, e non figura neanche in altri libri. Ho detto nel modo
più netto che cosa sia per me terrorismo, e l´ho argomentato nel modo più
esauriente nel libro. Vi chiederei di leggerlo. La sentenza finale su Pinelli è
un oggetto precipuo del mio studio, che ne mostra l´assurdità. Per me,
rispettare le sentenze vuol dire accettarne gli effetti, non certo giurare nella
loro fondatezza. Non troverete presso di me alcun cedimento all´invettiva.
Infine: questo è uno scambio ineguale. Io non vi conosco, voi non conoscete me.
Il mio cognome basta al vostro giudizio, o al vostro pregiudizio, a me ostile. I
vostri cognomi bastano a un mio giudizio di forte simpatia e solidarietà. Se,
insieme o singolarmente, privatamente o pubblicamente, voleste discutere con me
di questo e di qualunque altro argomento, io ne sarei lieto. (adriano sofri)
Repubblica, giovedì, 12 febbraio 2009
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