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1) Come nasce l’idea di un sito sulle BR? Tommaso Fera: Il sito nasce quasi per caso, nel momento in cui anni fa per pura passione e curiosità iniziai a fare ricerche su internet sulle Br. Mi trovai di fronte a poche informazioni, quasi nessun documento, difficoltà nello scegliere libri sull’argomento. Da qui l’idea di creare questo “spazio”. Inizialmente come semplice bacheca per i miei appunti, poi − notando l’interesse che il sito riscuoteva − decidemmo di fare qualcosa di meglio strutturato e funzionale. 2) Vi è mai capitato di essere definito “il sito delle Br”? T. F.: Purtroppo sì. Il sequestro del sito fu presentato all’opinione pubblica proprio come la chiusura di un “sito delle Br” o, nella migliore delle ipotesi, come sito “filo brigatista”. E ancora oggi capita di ricevere mail di questo tono, anche se più raramente rispetto a qualche anno fa. La cosa naturalmente ci infastidisce e non poco. Basterebbe veramente una lettura anche sommaria del sito per capire che ci si trova di fronte esclusivamente ad un sito storico. 3) Il caso Moro occupa un grande spazio all’interno dei contenuti del sito. Ovviamente quando si parla di BR si parla soprattutto di caso Moro. Quale è la vostra opinione su quella vicenda? Giuliano Boraso: Incontro sempre un gran disagio quando qualcuno mi chiede un parere sulla vicenda del sequestro-omicidio di Aldo Moro. Prima di tutto perché non credo di possedere gli strumenti necessari per dare una risposta sensata alla domanda. E in secondo luogo perché tali e tanti sono i contributi che la storiografia sull’argomento ha offerto che mi sembra sempre di ripetere cose già dette e ridette all’infinito. L’unica cosa che mi sento di dire è che trovo deprimente che il dibattito storiografico su una vicenda così importante per la storia recente del Paese si sia ridotta a una sorta di regolamento di conti tra “dietrologi” e… qual è il contrario di “dietrologo”? “Avantista”? “Avantologo”? Insomma, alla fine tutto si riduce sempre alla formula di un derby calcistico, e la cosa mi riempie di amarezza. Viene detto tutto e il contrario di tutto, con il risultato di creare un assordante rumore mediatico che riduce al grado zero la trasmissione di contenuti. 4) Hai scritto un libro “Mucchio selvaggio” molto approfondito e tra i pochi che ha parlato dell’organizzazione PL, spesso pensata minore, ma che in realtà non era meno importante delle BR. Per quale motivo un libro su PL e quale è stato il tuo approccio? G. B.: La tua domanda contiene già parte della risposta: abbiamo pensato a un libro su Prima Linea appunto perché la storia di PL rappresentava e rappresenta ancora una strana anomalia nell’ambito della bibliografia dedicata agli anni di piombo, un vuoto storiografico difficilmente comprensibile in un Paese in cui si parla e si scrive di tutto. E questo vale sia per la memorialistica degli ex militanti (così scarna rispetto a quella degli ex brigatisti), sia per i contributi storico-giornalistici. Eppure PL, sia per numero di militanti che per estensione del proprio bacino di influenza e raccolta, sia per il suo attivismo militare, ha rappresentato qualcosa di importante nello scenario della lotta armata della seconda metà degli anni Settanta. Inoltre la storia di Prima Linea, forse più e meglio di quella delle Br, permette di capire il filo rosso che unisce una fetta importante della storia della sinistra extraparlamentare (con particolare riferimento a Lotta continua) all’esperienza della lotta armata. E forse, a ben vedere, sta proprio qui la ragione prima di quella specie di amnesia storiografica che ha caratterizzato la rivisitazione della storia di PL. 5) Il fondatore di PL, Sergio Segio, ha duramente attaccato il tuo libro sia in occasione di interviste che all’interno del suo nuovo lavoro pubblicato da Rizzoli. Vuoi spiegare quali motivi erano alla base della sua critica? G. B.: Qui mi metti in crisi: tali e tante, e così veementi, sono state le critiche di Segio che non so nemmeno da dove iniziare. Facciamo prima a dire che all’ex comandante Sirio del mio libro ha fatto schifo tutto: la ricostruzione storica, il linguaggio, l’interpretazione, l’approccio eccetera. Una cosa tengo a dirla: al suo posto avrei probabilmente reagito alla stessa maniera, magari cercando di alleggerire i toni, ma mantenendo inalterati i contenuti. Non perché dal mio punto di vista le opinioni di Segio siano condivisibili (non sono arrivato ancora a questo livello di autolesionismo). Ma perché anche quel tipo di reazione rientra all’interno di un modo d’essere che, al di là degli anni che passano, è difficile togliersi di dosso. Quella storia ci appartiene, dice Segio, è tocca a noi raccontarla. Non esiste che a farlo sia il primo, anonimo pischello che ha la fortuna di farsi ascoltare da un editore. 6) In tanti anni online con il sito, quale il più grande insegnamento che avete ricevuto e quale la più grande delusione? G. B.: Questa, al contrario della precedente, è facile. Delusione: leggere ancora qualche mail che ci accusa di essere filo-brigatisti, terroristi, e via dicendo. Insomma, constatare che in Italia, nel 2007, la piaga dell’analfabetismo è ancora diffusa. Basterebbe leggere le poche righe contenute nella pagina “Info” del sito per capire chi siamo e le ragioni della nostra presenza in Rete. Insegnamento: che esistono tante persone con una voglia di conoscenza insoddisfatta per ciò che riguarda la storia recentissima del Paese. Che l’istituzione scolastica continua a ignorare questa richiesta di conoscenza, anche e soprattutto a livello universitario. Che c’è tanta passione in giro, e voglia di capire, conoscere, confrontarsi, al di là e contro l’informazione preconfezionata che gira nei media tradizionali. T. F.: Condivido in pieno, non credo ci sia altro da aggiungere. Si va avanti e si lavora al sito proprio perché spinti da queste richieste di conoscenza. 7) Parliamo del sequestro del sito da parte della Polizia Postale di Milano. È come se la Polizia sequestrasse la casa di un privato perché qualcuno ha imbratta il suo muro con scritte inneggianti la lotta armata… T. F.: Quella del sequestro è stata nel bene o nel male un evento che ci ha insegnato qualcosa. Mia opinione personale è che se il sito avesse avuto un nome diverso e fosse stato meno popolare a nessuno sarebbe venuto in mente un operazione del genere. Il sequestro credo sia stato semplicemente un “segno”. L’opinione pubblica andava in qualche modo rassicurata, bisognava dimostrare che qualcosa si stava facendo (non dimentichiamo che il sito fu chiuso una settimana dopo il delitto Biagi e i pochi risultati ottenuti nel combattere le “nuove Br” dopo l’omicidio D’Antona era sotto gli occhi di tutti). Interessanti sono state anche le reazioni alla notizia del sequestro: mentre la carta stampata perseverava sul filone “sito delle Br” nella Rete ci fu una vera e propria rivoluzione, arrivando a considerare il sequestro una vera e propria opera di censura. 8) Due sono le polemiche (relative agli anni della lotta armata) che hanno caratterizzato questi ultimi mesi: la nomina di ex militanti ad incarichi istituzionali e il presunto voler tappare la bocca, da parte dei media, alle famiglie delle vittime in favore di grande risonanza per le esternazioni degli ex. Cosa ne pensate? G. B.: Per ciò che riguarda il primo punto, la nomina di ex militanti ad incarichi istituzionali, penso che non si debba usare la categoria giusto/sbagliato, ma qualcosa che gli si avvicina. In casi come questo parlerei di opportunità/inopportunità, o se preferisci userei una categoria di giudizio che in Italia è sempre stata storicamente sbeffeggiata: la categoria del senso del pudore, del limite dettato dalle circostanze. Niente in contrario, quindi, al Renato Curcio che spiega agli studenti dell’università di Lecce il senso del suo attuale (e straordinario) lavoro di ricerca, o la sua esperienza di ex militante. Niente in contrario a una Susanna Ronconi che si rimette in gioco, spende la professionalità di operatrice nel campo della tossicodipendenza e del disagio giovanile e la mette al servizio di una struttura pubblica. A me quello che non va giù sono altre cose, del tutto diverse: le provocazioni, le forzature, quella continua voglia di protagonismo che prima trovava sbocco nell’uso delle armi e ora opta per altre vie, istituzionali, legalitarie. Non mi va giù il presenzialismo elevato a ragione di vita, atteggiamento che ho purtroppo riscontrato in alcuni santoni della lotta armata riciclati nelle vesti di opinionisti e guru mediatici. 9) Quali i progetti futuri per brigaterosse.org? G. B.: Il nostro non è tanto un progetto, quanto un sogno: creare un gruppo di lavoro stabile, affiatato, per allargare il progetto e creare un vero e proprio centro di documentazione sulla storia degli anni Settanta che vada ben oltre l’esperienza dei gruppi armati. Ci pensiamo da tempo, ma incontriamo grandi difficoltà dovute al poco tempo a disposizione e alle limitate risorse a cui possiamo fare affidamento con costanza. Spero che col tempo qualcosa si possa muovere in questa direzione. 10) C’è un modo per chiudere con quegli anni, scoprire tutta la verità e voltare pagina? G. B.: No, a mio parere non c’è. Almeno per il momento e per i prossimi due decenni. Troppi ancora i ricatti in gioco, troppe potenziali vittime di queste estorsioni sono ancora in vita, non c’è speranza di arrivare a breve a un punto fermo. Il dibattito sugli anni Settanta e sulla violenza politica che li ha attraversati è ancora ostaggio di una voglia di regolare i conti che ne altera e distorce i contenuti.
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