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Patrizio e Roberto Peci: e la polemica continua...
Di Manlio (del 18/04/2012 @ 21:20:20, in Attualitā, linkato 2912 volte)
Che dire? Non molto rispetto a quanto già scrissi nel luglio del 2009 >Leggi articolo<.

E’ da poco stata >pubblicata un’agenzia< che preannuncia l’intervista esclusiva a patrizio Peci che uscirà integralmente sul settimanale “Oggi” da domani in edicola.
La sostanza è questa. Peci torna sulla vicenda del fratello Roberto, al quale lo scorso anno è stata intitolata la via nella quale nel 1981 fu rapito (l’ex vai Boito ora via Roberto Peci), per rivolgersi alla nipote convinta della non violenta innocenza del padre e dell’infamità di uno zio che, con le sue azioni malvagie, ne decretò la morte.

Voglio che si conosca tutta la verità, soprattutto che la conosca la figlia di mio fratello. Deve sapere che lui aveva condiviso tutte le mie scelte, dalla lotta armata alla dissociazione. […] mia nipote di suo padre non sa niente. Non è vero quello che pensa o che le hanno fatto credere. Non è vero che c’è stato un fratello infame e uno buono, come Caino e Abele. È un falso storico, avallato purtroppo dal libro di Walter Veltroni L’inizio del buio, che ha scambiato la realtà con la sua immaginazione. […] Eravamo due comunisti rivoluzionari. All’assalto alla Confapi di Ancona, prima che io entrassi nelle Br, ha partecipato anche lui.

Parole molto dure rispetto alle celebrazioni che di recente sono state fatte in occasione dell'inaugurazione della via intitolata a Roberto Peci.
>Video<
>Articolo<

Le stesse parole, però, che scrissi nel mio articolo. Ma la figlia di Roberto Peci, Roberta, commentando il mio articolo mi attaccò duramente invitandomi a tacere ed informarmi meglio...

E secondo me non c’era niente di scandaloso, nel senso che era evidente la storia dei due fratelli ed era evidente che pur avendo iniziato insieme un certo percorso le strade si erano divise piuttosto presto e prima che il più piccolo facesse le stesse scelte del fratello maggiore. Chi ha studiato e cercato di capire non può sostenere che Roberto Peci fosse un brigatista, di certo non io. Ma da qui a dire che era un non violento, che non ha mai avuto a che fare con scelte ed azioni violente, ce ne passa. La storia di Roberto Peci può essere assimilata a quella di tanti altri giovani di quegli anni, giovani che hanno creduto di poter combattere il sistema con le armi, che vincere era possibile. In pochi hanno poi portato le loro scelte sino alle estreme conseguenze, in molti, invece, si sono fermati prima del punto di non ritorno (un’azione di sangue o la scelta forzata di entrare in clandestinità).

Nello stesso articolo scrivevo che l’atteggiamento che lo Stato ha sempre avuto nei confronti di questa tragica vicenda è sensibilmente differente dalle altre tante storie di dissociazione e violenza. E quindi mi chiedevo: “E allora sorge il sospetto, che dietro la storia dei fratelli Peci, ci sia qualcosa di ancora indicibile, autorizzato ad altissimi livelli, portato avanti senza scrupoli. Qualcosa che a distanza di 28 anni non può essere ancora rivelato apertamente”.
Questo è un altro dei nodi centrali che più in generale riguarda ciò che ha fatto uno dei protagonisti centrali della vicenda, ossia lo Stato. Cosa ha fatto in quegli anni? Perché dovremmo credere nella sua “candida innocenza”, nella sua totale estraneità a qualsiasi addebito? Di cose poco chiare sul comportamento delle Istituzioni in quegli anni ce ne sarebbero tante. Qualcuno dirà che eventuali “forzature” sono state fatte nel tentativo di perseguire il fine ultimo di sconfiggere la lotta armata. Ma poiché le azioni di contrasto sotterraneo sono iniziate ben prima della nascita dei fenomeni eversivi (piazza Fontana docet) occorrerebbe approfondire meglio come si siano evolute le strategie dello Stato negli anni ’70 e a che punto sono arrivate. Ma questo è un altro discorso.

Non ho avuto niente in contrario sul fatto che sia stata intitolata una via a Roberto Peci, anzi. Può essere un serio tentativo di capire meglio quegli anni, che c’è stata davvero una buona parte di una generazione di giovani che hanno pensato di ribellarsi, che l’hanno fatto senza essere pilotati o eterodiretti, che in gran parte ha capito che non fosse la scelta giusta e che in alcuni casi (come Peci) hanno pagato un prezzo altissimo per questo loro percorso.

Ma senza travisare la realtà, senza scambiare “la realtà con la sua immaginazione”. Questo non è corretto e non porta da nessuna parte.