Sabina Rossa: "Gli ex br ci dicano la verità invece di fare
show in tv"
di Luca Telese
È deputata da due legislature. Ma è vittima del terrorismo dal 1979, quando
una mattina, uscendo di casa, si ritrovò a passare davanti a una macchina in cui
c’era il corpo crivellato di suo padre. Eppure Sabina Rossa, deputata del
Partito Democratico, stupisce qualsiasi osservatore, per il modo in cui si
sottrae a ogni categoria semplificatoria. Vittima, ma nemica dell’«ideologia
della vendetta». Intransigente sull’estradizione negata di Marina Petrella («Mi
sento presa in giro»), ma possibilista sulla libertà condizionata al killer di
suo padre. Garantista persino sulla libertà di una ex terrorista nera come
Francesca Mambro («Ha pagato come gli altri? Perché deve stare dentro?»). Ci
parlo durante una giornata infernale di votazioni a raffica a Montecitorio.
Eppure mi spiega bene perché tutte queste decisioni siano tenute insieme da un
filo logico molto lineare.
Onorevole Rossa, lei protesta contro il governo francese, perché non ha
concesso l’estradizione di una ex br.
«Oh, sì. E molto fermamente, anche».
Cosa l’ha indignata?
«Ho trovato molto offensivo da parte di Sarkozy, la giustificazione con
motivazioni umanitarie per un no all’Italia».
Ci ha indirettamente accusato di inumanità?
«Ha mostrato una sfiducia assoluta nelle nostre istituzioni e nel nostro sistema
giudiziario. È grave».
I difensori della Petrella accusano chi chiede l’estradizione di incuranza
per le sue condizioni di salute.
«E questo mi indigna ancora di più. Davvero qualcuno crede che in Italia le sue
condizioni di salute si sarebbero aggravate?».
Lei da anni ripete che le ragioni delle vittime sono sempre messe in ombra
rispetto alle verità degli ex terroristi
«Sì. Ma questa non è una mia opinione! È semplicemente un fatto».
Altri protestano, dicendo che si vuole chiudere la bocca ai brigatisti.
Morucci ha recentemente detto che è anticostituzionale.
«Peccato che io non voglia chiudere la bocca a nessuno. Vede, si cerca di porre
l’alternativa fra due posizioni estreme, entrambe sbagliate. Io in realtà
contesto una spettacolarizzazione mediatica che è più interessata agli ex
terroristi, perché fanno notizia...»
Colpa dei giornalisti?
(sorride) «Sono scortese se le dico che è così? Ma non voglio tirarmi fuori.
Anche la politica spesso ha scelto la scorciatoia della spettacolarizzazione. È
comodo, è più facile, crea meno problemi a tutti».
In questi anni molti libri, hanno dato la parola alle vittime, da “I silenzi
degli innocenti” di Fasanella in poi...
«Per carità, un libro bellissimo. Il problema sono i media che seguono questo
processo. E ripeto: il ribaltamento della macchina informativa è necessario per
illuminare gli angoli più bui della memoria».
In che senso?
«Gli ex terroristi non hanno ancora detto tutto. Non dicono la verità.
Mantengono volutamente zone d’ombra».
Perché?
«Molti me lo hanno spiegato: perché ci sono persone da proteggere che sono
ancora in vita, e magari sono sfuggite alle inchieste. Perché proteggono ancora
qualcuno».
Lei crede alla soluzione sudafricana, verità in cambio di impunità?
«Non ho ancora un’opinione definitiva. Vede? Forse che i giornali devono aprire
un dibattito?».
Torniamo al perché i media preferiscono Caino ad Abele...
«Perché non tutti hanno ancora capito che la giustizia è un bene collettivo. Lo
dico anche alle vittime come me: non può essere desiderio di vendetta privata».
Ecco perché lei chiede benefici di pena per il killer di suo padre,
Guagliardo.
«Io non provo sentimenti di rancore o di odio. Ho parlato con diversi ex della
colonna torinese per il libro che ho scritto su mio padre. Poi con Curcio e
Franceschini... Non sono arroccata nella contemplazione delle mie verità».
Perché i francesi continuano a comportarsi così?
«Non hanno conosciuto il terrorismo come noi. Non hanno avuto il nostro bagno di
sangue. Hanno una visione edulcorata e falsa, alimentata dalla dottrina
Mitterrand, per cui una attrice come la Ardant è andata a dire a Venezia che
Curcio era una eroe romantico e ribelle! Capisce?».
Cosa le risponde?
«Che in Italia non c’è mai stata una dittatura. E nemmeno una stato di
incertezza democratica. Che milioni di persone hanno combattuto per le proprie
idee - anche le più radicali - senza mai arrivare alla violenza. E poi...».
Cosa?
«Non c’è stata una guerra civile in cui si poteva stare di là o di qua. C’era la
democrazia e c’era chi sparava».
I dati dicono che la maggior parte degli ex terroristi sono fuori.
«Senta, se si sono fatti vent’anni di sangue, per me è una pena congrua. Sono
contraria al fine pena mai».
Anche per la Mambro?
«Mi pare che si sia fatta la sua parte di pena, come gli altri. Diciotto anni».
Sa che qualcuna delle vittime di Bologna potrebbe essere contrariata?
«Non faccia differenza fra rossi e neri. Quanto a quelli di sinistra, la lezione
di mio padre, che non esistono compagni che sbagliano...».
Cosa?
(Una pausa). «L’ho imparata sulla mia pelle. Si figuri se non la conosco bene».
Luca Telese (Il Giornale, 16/10/2008)