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Cossiga: «Alla vedova Moro è concesso di dire tutto ciò che vuole» Paolo Passarini Lui stesso ha raccontato che per un mese dopo il ritrovamento del cadavere in via Caetani si svegliava di notte urlando: «L'ho ucciso io, l'ho ucciso io». Con un gesto drammatico e molto apprezzato si dimise spontaneamente da ministro dell'Interno. In due mesi i suoi capelli divennero bianchi e cadde in uno stato di profonda depressione che durò più di un anno. Dunque, cosa pensa l'ex-presidente della Repubblica Francesco Cossiga delle dure accuse che, nella sua prima intervista, concessa a Ferdinando Imposimato a trent'anni dall'assassinio di Aldo Moro, la vedova Eleonora lancia contro «il potere» del tempo? «Lo Stato voleva la morte di Aldo Moro - accusa Eleonora nell’articolo pubblicato da «La Stampa» -. Quelli che erano nei vari posti di comando lo volevano eliminare». E poi aggiungeva: «Quella gente desiderava eliminarlo perché era scomodo», «tutti avevano una paura terribile perché lui sapeva tutto di tutti, e quindi si sentivano sotto un riflettore che li inquadrava. Purtroppo non avevano capito che Aldo non avrebbe mai fatto del male a qualcuno...». Presidente Cossiga, come commenta queste accuse mosse dalla vedova Moro? «Ad una donna che non ha avuto per gran parte del suo percorso matrimoniale una vita pienamente felice e a cui è stato rapito e ucciso il marito rispondo che una donna così ha il diritto di dire tutto quello che vuole. Almeno lei non l'ha scritto, come invece ha fatto il figlio, in un libro recentemente pubblicato e per cui al figlio, di professione figlio della vittima, pare siano stati pagati lauti diritti d'autore. Quanto diversi, purtroppo, sono spesso gli uomini, specialmente se grandi, dalle loro mogli e dai loro figli». Se lei non ritiene opportuno rispondere direttamente alla signora Moro, tuttavia restano le sue accuse, che sono molto gravi. Tra l’altro la signora Eleonora racconta che a coloro che hanno fatto uccidere il marito non arriva nemmeno più a «stringere la mano». Non frequenta alcuna cerimonia e, spiega, «se li incontro, li saluto da lontano e filo via rapidamente». «Che la signora Moro, come ha scritto il figlio, di professione figlio della vittima, considerasse, come molti dei suoi figlioli, Paolo VI, Giulio Andreotti, Benigno Zaccagnini, Enrico Berlinguer e, per ultimo, il sottoscritto degli assassini era cosa nota da tempo». Lei stesso, Presidente, ha però confessato in più di un'occasione di aver provato e di provare ancora dei sensi di colpa... «Sapevo benissimo che, sostenendo la linea della fermezza, salvo un miracolo, Aldo Moro sarebbe stato ucciso». E come mai, allora, mantenne la linea della fermezza? «Da una parte, anche per formazione famigliare, ho sempre dato un peso prevalente alla saldezza dello Stato e delle istituzioni democratiche...». E dall’altro? «Dall'altro, come ho detto, speravo in un miracolo. Decidemmo di optare per la saldezza dello Stato democratico e, a differenza di molti ex-comunisti, tra i quali il neo-pacifista Bertinotti, tanto nemico della violenza che adesso non se la sentirebbe neppure di attaccare la Bastiglia, e il mite Piero Fassino, io sono rimasto della stessa opinione. E lo sarebbe, peraltro, anche il caro amico scomparso Ugo Pecchioli, la cui memoria, salvo una breve ricorrenza, è stata totalmente archiviata dai suoi compagni, come d'altronde anche la ricorrenza di Guido Rossa». E questo perché? «Perché, in base a una certa cultura, anche contro i compagni che sbagliano, con la giustizia, con la polizia e con i servizi di sicurezza, non si collabora mai».
La Stampa, 26 febbraio 2008
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