«Quella notte in cui lo stato poteva salvare Aldo Moro»
FRANCO PIPERNO Cossiga? «Spietato col movimento»
Nel 1978, nei 55 giorni più lunghi e più tragici nella storia della
Repubblica, erano schierati su fronti opposti. Franco Piperno, ex leader di
Potere operaio, faceva quel che era in suo potere, e non era molto, per
facilitare la trattativa e salvare la vita di Aldo Moro. Francesco Cossiga,
ministro, faceva quel che poteva, ed era moltissimo, per impedire la trattativa,
anche a costo di sacrificare Moro.
Cominciamo dalla trattativa, quella tentata da te e da Lanfranco Pace.
L'idea fu di Paolo Mieli e Livio Zanetti, allora direttore dell'Espresso,
l'unico giornale che aveva seguito le diverse fasi del movimento e col quale
molti di noi avevano una certa consuetudine. Zanetti mi chiamò e mi disse che
Claudio Signorile voleva incontrarci.
Tutto nasce nell'entourage craxiano?
Suppongo di sì anche se non ne ho le prove. All'epoca, eravamo nell'aprile
del '78, io ero già in Calabria e la donna con cui ero sposato - Fiora Pirri -
era stata arrestata da poco. Per questo all'inizio provai una forte resistenza
ad accettare quell'incontro, temevo di infilarmi in qualcosa che avrebbe avuto
come conseguenza quella di peggiorare la posizione di Fiora, accusata - insieme
a un numero sterminato di persone - di essere stata a via Fani. Poi però
all'incontro con Signorile decidesti di andare. A convincermi fu una nuova
telefonata di Paolo Mieli ma anche il peggioramento della situazione di Fiora.
Pensai che se Moro fosse stato ucciso sarebbe stato un guaio per tutti noi. Così
venni a Roma e incontrai Signorile diverse volte - prima da solo, poi con
Lanfranco Pace che più di me aveva modo di far arrivare rapidamente alle Br le
proposte che venivano da questa parte del Psi che faceva capo a Craxi e non a
Giacomo Mancini - in una casa di via del Corso abitata da uno dei finanziatori
del partito socialista. Eravamo a buon punto. Lo pensavo io e lo pensava
Signorile.
Qual era la proposta?
Un esponente della Dc, nello specifico Amintore Fanfani, avrebbe dovuto
pubblicamente riconoscere la disponibilità a trattare coi brigatisti sulla base
della scarcerazione di alcuni di quelli che erano stati arrestati ma soprattutto
della chiusura del carcere dell'Asinara, un carcere particolarmente crudele,
direi al limite della tortura. Questo esponente della Dc avrebbe dovuto
dimostrare disponibilità a compiere o a proporre non a realizzare una misura che
era nell'ambito della legalità. L'oggetto concreto della trattativa si sarebbe
precisato successivamente. In quel momento la cosa importante era interrompere
quell'abbrivio, l'uccisione di Moro, e dare un segnale individuando tra le
richieste delle Br quali erano legalmente accettabili da parte dello stato. E
tutto ciò andava fatto non da qualcuno che ricopriva un incarico di Stato ma da
Fanfani che ricopriva solo incarico politico.
Dicevi che la trattativa sembrava quasi conclusa. Dove s'inceppò?
La sera del venerdì precedente all'uccisione di Moro venne da Signorile il
consigliere militare del presidente della Repubblica e anche un motociclista
carabiniere che avrebbe dovuto portare queste «indicazioni» a Fanfani. Così io
me ne andai quel venerdì sera convinto che le chance di salvare Moro fossero
alte. Ammetto per onestà intellettuale che non avevo nessuna simpatia per Moro e
che di per sé non è che fossi in preda all'angoscia se l'uccidevano o meno.
Quello che mi sembrava evidente è che uccidere Moro, oltre che un crimine,
sarebbe stato un gigantesco errore per le conseguenze che avrebbe portato non
tanto alle Br che erano clandestine ma soprattutto al movimento.
Fu Cossiga a far fallire la trattativa?
Non sono in grado di dirlo. Di certo uno degli errori fu che al posto di
Fanfani parlò un uomo della sua corrente che si chiamava Bartolomei. Me la
ricordo quella dichiarazione trasmessa al tg della notte: confusa e timida.
Sulle Br non poteva avere nessun effetto.
Torniamo a Cossiga.
Cossiga aveva deciso che era meglio sacrificare Moro. Glielo dissi anche,
anni dopo. E credo che nella sua decisione abbia avuto un'influenza determinante
l'atteggiamento del Pci. Penso che coloro che hanno messo un veto totale a ogni
possibilità di trattativa siano stati proprio i dirigenti del Pci. Cossiga si
allineò per tenere in piedi il rapporto col Pci e per salvare il compromesso
storico. E su questo c'era anche il consenso dell'allora segretario della Dc,
Benigno Zaccagnini. Mentre Fanfani, secondo quanto lo stesso Signorile mi disse,
era per provare.
Dunque uno scontro tra due correnti della Dc.
Esattamente. La sinistra Dc era schierata sulle posizioni del partito
comunista che non avrebbe mai tollerato un qualsiasi riconoscimento indiretto
delle br per le conseguenze che ci sarebbero state anche a livello di
organizzazione dello stesso Pci, a cominciare dalle grandi fabbriche. Del resto
lo si è capito quando l'anno dopo Dalla Chiesa ha arrestato in una notte sola 80
operai. Nelle fabbriche c'era una presenza brigatista che il Pci vedeva come
«concorrenza».
Insomma tu dici che la Dc, o almeno una parte della Dc, avrebbe trattato e
che la linea della fermezza fu un «regalo» al Pci. E quella parte non era quella
di Cossiga.
Quello fu un episodio rivelatore della cattiva coscienza del ceto politico
italiano, là mentivano tutti. La Dc avrebbe trattato come ha fatto in altre
occasioni e come del resto è stato fatto in altri paesi, prima e dopo Moro. Non
dico che Berlinguer volesse uccidere Moro. Dico che se anche se fosse stato
rapito un loro dirigente, il compagno Pajetta per esempio, l'avrebbero
sacrificato. Era nella logica del Pci. Tutto tranne che accettare una qualche
richiesta che sarebbe servita a legittimare una corrente terroristico-sovversiva.
I comunisti di allora erano chiaramente avviati verso una politica di
superamento della «contrapposizione tradizionale» e dell'idea che il partito
dovesse portare a un ribaltamento sociale. Rapimento Moro come momento di
verità, allora?
Sì e la crisi della I Repubblica è cominciata allora perché i comunisti sono
diventati i fautori dell'ordine, cosa che non era mai successa prima . Sono
stati loro che capillarmente hanno denunciato i compagni. Pensa che, a Torino,
Giuliano Ferrara come capogruppo del Pci e insieme a Fassino hanno promosso le
denunce anonime. Ma le leggi speciali le ha fatte Cossiga. Cossiga è stato un
esecutore, certo non un rozzo esecutore, ma in quell'occasione ha realizzato
sostanzialmente le richieste del partito comunista. E lui sapeva di aver toccato
il fondo del barile della legalità con le leggi speciali contrariamente ai
comunisti che mentivano. Mi ricordo quando venne in Canada e chiese di vedermi
tramite una suora che adesso è morta, suor Teresilla. Parlammo di amnistia.
C'era anche Pace. Vedi, lui era tra quelli convinti che con l'amnistia si
sarebbero chiusi gli aspetti più orripilanti di quegli anni. Quelle leggi, lui
lo sapeva, avevano profondamente alterato la consuetudine legale italiana. La
presenza della magistratura negli affari politici è cominciata allora. Cossiga
era cosciente di aver innescato una profonda ferita nella tradizione giuridica
italiana quindi pensava all'amnistia come a uno dei modi di attenuare questa
ferita. Però le Br come soggetto politico le ha riconosciute mentre il movimento
lo ha massacrato. Le ha riconosciute dopo. Durante quei giorni lui è stato
spietato. Pensa - e questo è rilevatore della sua schizofrenia - che lui ha
negato che le lettere di Moro fossero autentiche. Diceva delle cose che lui
stesso ha ammesso, parlando con me, essere false. Certo è stato una personalità
notevole ma era sardo e i sardi hanno due anime, l'ascaro e il ribelle. Pensa
alla Brigata Sassari che lui ha voluto ricostituire dove si parla il sardo e
dove il sardo va a morire al posto del sovrano. Cosa successa al tempo dei
Savoia e che Cossiga ha rimesso in piedi. In Cossiga coesistevano entrambi gli
elementi. Quando ha avuto responsabilità di governo e di influenza diretta e
operativa sul Paese si è comportato come un ascaro, anzi come un generale degli
ascari.
Ascaro col movimento e ribelle poi?
Esattamente. Lui è stato spietato e ha anche lasciato fare manifestazioni
perché le cose si incancrenissero. Pensa all'episodio in cui muore Giorgiana
Masi: una trappola. Poi ha ripreso la sua natura ribelle arrivando sino a
rivendicare l'appartenenza a una famiglia di pastori in contrapposizione a
quella aristocratica di Berlinguer. Cossiga è un caso estremo e alla fine si è
preso la libertà dei matti: quella di dire delle verità in punto di morte.
Iaia Vantaggiato (19 Agosto 2010 Il manifesto)