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Cena a Managua con Camillo l'ultimo latitante di via Fani
08/03/2010 - La Stampa.it - Colombari, Zanotti
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Cena a Managua con Camillo l'ultimo latitante di via Fani
Candannato a sei ergastoli e mai incarcerato: farò un film a Hollywood

 

C’ è il Papa, c’è suo padre con il Pontefice, c’è lui bambino che gioca con una palla nei Giardini Vaticani. Poi altre foto di una Roma in bianco e nero, e poco più in là, sulla parete, le mandibole di grossi squali toro. «Alcune persone sono già morte quando nascono, la loro è una vita in attesa della morte. Io invece ho avuto molte vite». Sei ergastoli sulle spalle e mai un giorno di galera: lo immagineresti deciso e imperioso l’uomo che da 28 anni è uno dei più grandi ricercati d’Italia. E invece eccolo qui, Alessio Casimirri, 59 anni, basso e ben piazzato, capelli neri e maglietta rossa aderentissima infilata nei pantaloni. La voce esce stridula, esitante: «Siete italiani? Anche io lo ero». Casimirri ne ha avute tante, di vite. In quella di adesso fa il ristoratore, sospeso tra il suo locale storico a Managua, La Cueva del Buzo, e le battute di caccia subacquea a San Juan Del Sur, dove da poche settimane ha aperto il suo secondo ristorante, il Dona Ines.

Nella vita precedente era «Camillo», nome di battaglia dell’unico brigatista ancora latitante che fece parte del commando Moro. Prima ancora, un bambino cresciuto tra i palazzi papalini, dove il padre è stato per trent’anni il potentissimo capo dell’ufficio stampa della Sala Vaticana. «Scrivere un libro sulla mia vita? Ci ho pensato più volte. Ma vorrei andare oltre: pensavo a un film a Hollywood, come mio padre». Ci sarebbe materiale per Freud, se non fosse imbarazzante. Nel suo locale in Nicaragua, mentre infila un Dvd nel registratore per mostrare le sue imprese di pescatore subacqueo, Casimirri racconta: «Il film del mandolino del capitano Corelli (quello con Nicholas Cage protagonista, ndr) è la storia di mio padre. Mi raccontava fin da piccolo della sua campagna a Cefalonia. Tutti gli episodi sono veri, anche la ragazza, solo che non era greca, era croata. Si chiamava Nada, mio padre andò a prenderla in Grecia dopo la guerra e la portò in Italia. Poi però si lasciarono».

Casimirri non ha più i baffi come nella foto che campeggia sul menù del suo locale, quella in cui in posa plastica e muta mimetica esibisce orgoglioso due prede ancora gocciolanti. Sa tutto della pesca subacquea e delle prede: come si spostano, cosa mangiano, quando. Ma non appena si tocca l’argomento Moro, si chiude a riccio. Nel libro, o nel film, ci sarà un capitolo anche sul rapimento? «Non mi toccare questo tasto» dice facendo intuire che smetterà di parlare. L’Italia ha chiesto più volte la sua estradizione ma il Nicaragua dei sandinisti si è sempre opposto: sebbene entrato nel Paese sotto falso nome, Casimirri si è sposato con una nicaraguense, ha avuto tre figli ed è diventato cittadino del Nicaragua a tutti gli effetti. Niente da fare. Nel 2006 un italiano lo ha riconosciuto in Costarica, a El Ostional, cittadina a un passo dal confine.

Ci andava spesso, aveva aperto un altro locale. L’italiano ha fatto una soffiata ai Servizi, è stata organizzata una trappola per catturarlo. Ma qualcuno, forse, lo ha avvertito: «Vedo persone strane che girano nel mio locale, l’Italia vuole per forza arrestarmi. Ma io il giorno del rapimento Moro insegnavo educazione fisica in una scuola» ha dichiarato a El Nuevo Diario, giornale di Managua, nell’unica intervista che abbia mai rilasciato. A El Ostional non si è fatto più vedere. L’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli è andato su tutte le furie: «Così non lo prenderemo mai». È l’ultimo rimasto. Rita Algranati, la sua ex moglie, è stata catturata nel 2004 in Egitto con il suo nuovo compagno. Casimirri, nel suo locale dove si cena con 50 dollari in un Paese dove un taxista ne guadagna 400 al mese, invece parla di pesci e di gare subacquee.

Su un tavolino, le coppe: campione nazionale di pesca subacquea del Nicaragua, più altre due della gara a El Ostional del 2009. Ci ha messo solo tre anni a ritornarci. Al tavolo affianco siede l’anziana madre. «Da quando è morto mio padre, tutti le chiedono i documenti del suo archivio personale - spiega Casimirri - ma lei non li dà». Al momento di pagare fa 49 dollari. Carta di credito? «Eh, così fa di più». Qualcosa di italiano pare gli sia rimasto. Nonostante le numerose richieste italiane, il governo nicaraguense si è sempre opposto all’estradizione di Alessio Casimirri. L’ultimo rifiuto è arrivato dalla Corte Suprema di Managua nel 2005. I primi tentativi risalgono all’inizio degli anni Novanta, ovvero dopo la sconfitta elettorale dei sandinisti che avevano offerto ospitalità alla primula romana. Di fatto si arenano subito. Casimirri, che è arrivato in Nicaragua nel 1982 sotto falso nome, nel 1986 sposa Raquel Garcia Jarquin, cittadina nicaraguense, e diventa nicaraguense anche lui. La cittadinanza gli viene revocata però nel 1993, quando si scopre che si è sposato con falsi documenti. Casimirri affronta un periodo di latitanza, che però termina dopo poco, quando la sua posizione tornerà legale. Viene bocciata anche un’ulteriore richiesta del 1999.

Andrea Colombari, Raphael Zanotti (La Stampa.it 8 marzo 2010)