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vuoto a perdere |
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La lettera Caro direttore, il libro di Benedetta Tobagi mi ha profondamente offesa. Il Craxi cinico e codardo, speculatore dei sentimenti di amicizia e di fraternità che lei dipinge non esiste, è un' immagine falsa e diffamatoria. La Tobagi trae le sue convinzioni da fallaci sensazioni giovanili; a sei anni sbircia la madre impegnata in un severo colloquio con Bettino Craxi. Poi Bettino esce (Benedetta dice: messo alla porta) e lei vede la madre piangere. Più tardi, saprà che Craxi ha raccontato alla vedova Tobagi del ritrovamento, tra le carte del Servizio segreto militare, di una «soffiata», un appunto anonimo che indicava Tobagi nel mirino delle Br e quindi avrebbe potuto salvargli la vita. Logico che una simile rivelazione abbia sconvolto la signora Tobagi, ma Benedetta inventa un contrasto tra la mamma, che vorrebbe rivelare subito la cosa ai giudici che stanno processando gli assassini confessi di suo marito, e Bettino che vuole ritardare la rivelazione per servirsi dello scandalo a fini elettorali. La verità è semplicissima. Bettino non può sollevare uno scandalo per un appunto che è solo una fotocopia senza timbri di classificazione e riferimenti nominativi. Deve prima ritrovare l' originale, accertare l' autenticità del documento, cose che effettivamente fa; quando l' esistenza della «soffiata» è accertata, non esita a renderla pubblica. Nasce un duro conflitto con i giudici milanesi che hanno messo in libertà gli assassini di Tobagi e non vogliono sentir parlare di mandanti, che hanno preso per autentico il complesso volantino che ha accompagnato l'esecuzione, certamente non opera di Barbone, Marano o Morandini. L' Avanti, in prima linea nella battaglia, sarà duramente condannato. Sembra tutto chiaro, ma non per Benedetta. Non ha una parola di rimprovero per i giudici che hanno aperto la porta agli assassini di suo padre. Lei è rimasta a cullare «la bambina che mi porto dentro» e su quelle sensazioni costruisce i suoi arzigogoli. Sa che è Bettino a riempirla di regali ogni Natale ma quando la zia, nel negozio dove Bettino compra i giocattoli, la invita a dire al proprietario che cosa vorrebbe avere, lei le sferra un calcio perché non vorrebbe parlare. Poi però indica una grande tigre con gli occhi gialli e quando gli arriva a casa se la tiene anche se racconta che è un regalo dei nonni. Quando si trova accanto a Craxi per la ricorrenza del decennale della morte del povero Walter, narra che avrebbe voluto dargli una pestata (evidentemente ha il piede facile) e non lo ha fatto per buona educazione. Un' altra farneticazione della nostra autrice: il ritrovamento, nell' archivio Gelli, di una copia del volantino di rivendicazione dell' assassinio (un fatto noto alla magistratura che non gli dà alcun seguito) la induce a formulare un sospetto infamante: che il dito puntato da Di Bella all' interno del Corriere, e le polemiche di Craxi e dei socialisti sui mandanti dell' omicidio, siano dirette a coprire i veri istigatori del delitto, Gelli e la P2, per screditare il «soviet» redazionale che comandava nel giornale. È un sospetto che Benedetta Tobagi non ha il diritto di formulare. L' unica sua giustificazione è la sofferenza. La sua incapacità di uscire dal ruolo di figlia, il suo smarrimento di fronte a Mario Marano, l' uomo che con Barbone ha sparato, la confessione di stare «male, fisicamente» per i pensieri che la sconvolgono senza approdare a nulla indicano un quadro psichico particolare. Quando incontra per caso all' università un giovane che somiglia in modo impressionante a Marco Barbone e immagina che sia suo figlio, si strugge perché il figlio di un assassino non sia devastato come lei e confessa: «Una tentazione, forse la più orribile che mi abbia attraversato il cervello: li cercherò, parlerò con loro, gli scaricherò addosso il mio dolore per trascinarli con me nell' abisso del nonsenso. Ho immaginato di tutto». Rispetto la sua sofferenza, ma questo non le dà il diritto di spacciare per verità le sue allucinazioni. Stefania Craxi sottosegretario agli Esteri RIPRODUZIONE RISERVATA Stefania Craxi (Lettera al Corriere della Sera 5 novembre 2009)
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