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Brigate rosse, il vicolo cieco della pista di Praga Agente sabotatore a 14 anni? Sarebbe il bizzarro caso del brigatista rosso Fabrizio Pelli, secondo le «rivelazioni» del generale cecoslovacco Jan Sejna, fuggito in Occidente nel 1968. A suo dire, il terrorista sarebbe stato addestrato nel biennio 1966-67 in una base militare del suo Paese. Solo che Pelli (morto nel 1979) era nato nel 1952 e i conti non tornano. È una delle incongruenze che emergono nell'indagine svolta da Fernando Orlandi, animatore del Centro studi sulla storia dell' Europa orientale (Csseo) di Levico Terme (Trento), per fare chiarezza sulle ipotizzate complicità del regime comunista di Praga con le Br. Il suo saggio, incluso nel volume "Le vene aperte del delitto Moro", a cura di Salvatore Sechi (Mauro Pagliai editore, pp. 357, 23), sostiene che la pista cecoslovacca, apparsa plausibile durante la guerra fredda, «si basava su notizie false e mai sottoposte a verifica»: chi ne ha parlato negli anni scorsi si è fatto trarre in inganno da carte poco attendibili dei nostri servizi segreti, senza compiere alcuna ricerca negli archivi di Praga. Invece Orlandi ha esplorato quella documentazione e ha notato un fatto significativo: tutti i dossier sulle Br vennero aperti a metà degli anni Settanta e sempre su sollecitazione italiana. Fu infatti nel settembre 1974 che i carabinieri inventarono un presunto soggiorno a Praga del capo brigatista Alberto Franceschini, appena catturato con Renato Curcio, per coprire il ruolo che aveva avuto nell'arresto l' infiltrato Silvano Girotto, detto «frate mitra» per il suo passato francescano. Da allora le voci sui legami delle Br con la Cecoslovacchia - dovute anche alla presenza in quel Paese di ex partigiani comunisti espatriati per sfuggire alla giustizia italiana - crebbero a dismisura, fino a inquietare lo stesso Pci. Così Salvatore Cacciapuoti, dirigente di Botteghe Oscure, ne chiese conto più volte ai cecoslovacchi, denunciando addirittura l' esistenza di una base delle Br nel loro Paese, ma senza portare alcun indizio concreto. Bisogna peraltro considerare che, dopo l' invasione sovietica del 1968, deplorata dal Pci, i rapporti tra i due partiti comunisti erano tesi: gli stessi esuli italiani erano malvisti dal regime di Gustav Husak, poiché avevano appoggiato le riforme di Alexander Dubcek stroncate dai carri armati di Mosca. Comunque i cecoslovacchi, dopo aver avvertito il Cremlino, avviarono una serie di verifiche senza esito. Il Curcio e il Franceschini di cui registrarono il passaggio nel loro Paese, come segnalò anni fa L' Espresso e come conferma Orlandi, erano due omonimi innocui turisti. E tutte le altre fonti «concordano nell' escludere che la Cecoslovacchia abbia fornito ospitalità e addestramento alle Br». Ciò non esclude che i brigatisti avessero legami internazionali - ne parla per esempio Antonio Selvatici nel libro "Chi spiava i terroristi" (Pendragon, pp. 149, 15) - ma indica che quella di Praga molto probabilmente non è la pista giusta. Antonio Carioti (Corriere della Sera, 20 settembre 2009)
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