Dialoghi impossibili / Erri De Luca e
l’alibi dell’ideale
"Se lo ficchi bene in testa: la lotta armata non è terrorismo"
"Dunque secondo lei le Brigate Rosse non possono considerarsi un gruppo di
terroristi?".
"Questo non lo dico soltanto io. Lo va sostenendo da un pezzo, un giorno sì
e l’altro pure, anche quell’esperto del ramo, nonché raffinato scrittore, che è
l’ex lottatore continuo Erri De Luca. Il quale, proprio in questi giorni, nei
suoi ultimi interventi sul delicato argomento, è tornato infatti a sostenere che
effettivamente terroristici possono dirsi soltanto quegli atti che mirano a
terrorizzare e annientare il maggior numero di persone indifese. La lunga
stagione della lotta armata in Italia si distingue invece dal terrorismo per il
fatto arcinoto che i suoi militanti non hanno mai piazzato bombe nelle banche,
sui treni e nelle piazze italiane".
"Allora lei come definirebbe quel che accadde durante gli anni di piombo?"
"Fu una guerra civile".
"Fra i brigatisti e tutti gli altri italiani?"
"Ma no. Fra i brigatisti e lo Stato".
"Ammesso e non concesso che questa tesi non sia soltanto una boriosa
scemenza, le devo confessare che per me la differenza fra terrorismo e lotta
armata conta molto meno di quella fra criminali comuni e criminali politici".
"Sospetto che lei intenda appiccicare l’etichetta di “criminali politici”
non soltanto ai terroristi ma anche ai militanti della lotta armata".
"Proprio così. Spero comunque che non le sfugga il motivo per cui trovo
questa differenza più interessante dell’altra".
"No, non mi sfugge. Fin dal primo istante del nostro incontro ho infatti
capito che lei appartiene alla razza di quei furfanti che non soltanto trovano i
criminali comuni assai più simpatici di quelli politici, ma che osano,
addirittura, giustificare questo loro abietta preferenza con quel capzioso
sofisma secondo il quale, mentre nel caso dei criminali comuni infami sarebbero
soltanto i mezzi che essi impiegano per realizzare i loro fini, nel caso dei
criminali politici sarebbero infami sia i mezzi che i fini". (segue)
"Perché definisce capziosa questa mia tesi?"
"Perché non riuscirò mai a convincermi che i fini dei criminali comuni – i
quali non sognano mai altro che quattrini, bei vestiti, automobili di lusso,
principesche ville con piscina, una o più belle bambole ingioiellate e
impellicciate sempre a portata di mano, un panfiletto in rada, un aereo
personale, sciami di segretari camerieri autisti e guardaspalle alle proprie
dipendenze, aragoste caviale e champagne a pranzo e a cena, qualche pomeriggio
alle corse, qualche serata all’Opera, feste sardanapalesche, vacanze in luoghi
paradisiaci, ottime scuole per i figlioli, generose elargizioni al parentado e
tante altre analoghe bassezze – possano essere considerati più ragionevoli e
comprensibili degli ideali di quanti combattono per una Causa politica".
"Lo so. Non ci riesce. Questa verità le ripugna. Ma questa sua ripugnanza
dimostra soltanto la sua presunzione morale".
"Ma come si permette!"
"La prego, non si arrabbi. Si decida piuttosto a capire che in ogni
criminale politico, sotto il velo dei suoi idealoni, sonnecchia sempre quel
presuntuoso stronzetto che è il moderno neognostico di massa".
"E chi sarebbe costui?"
"È quel soave angioletto che si crede votato al salvataggio dell’umanità,
nonché in possesso, nonostante la sua miseria intellettuale e morale, della
formula per realizzare questo suo soave miraggio praticando all’ingrosso quella
violenza sanguinaria che il criminale comune si limita a praticare al dettaglio.
E che quando gli accade di conquistare il potere, che in effetti è il vero
oggetto dei suoi lacrimevoli sogni, non manca mai di cangiarsi di botto nel più
o meno alto o basso funzionario (tirannello, gerarchetto, poliziotto,
carceriere, o semplice burocrate, o magari umilissimo gregario) di qualche
grazioso regime totalitario.
"Dovrei insomma ammettere che le nobili Cause servite da quegli eroi
prometeici che lei chiama impropriamente “criminali politici” sono soltanto
l’alibi della loro oscura brama di potere?"
"Complimenti. Vedo che sta incominciando a ragionare".
di Ruggero Guarini (Il velino 27 giugno 2009)