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Concordato il sì di Nenni «Sì, possiamo rifare il Concordato». Il via libera alla revisione dei Patti Lateranensi emerge da un documento segreto del gennaio 1976 sottoposto da Aldo Moro a Pietro Nenni e approvato, a sorpresa, dal leader del Psi fino a quel momento contrario. Il protocollo riservato che La Stampa pubblica per la prima volta, costituirà poi la base del nuovo Concordato siglato da Bettino Craxi a Villa Madama il 18 febbraio 1984. Il Vaticano, persa la battaglia sul divorzio, si impegna a «non insistere in una richiesta pregiudiziale del ristabilimento della situazione quo ante». Inoltre, la Santa Sede chiede «il mantenimento dell’istruzione religiosa nella scuola, anche se fuori da un contesto della concezione della religione cattolica come religione di Stato», reclama «l’abolizione di ogni forma di approvazione e quindi di controllo statale sulle nomine degli ecclesiastici (vescovi, parroci, enti religiosi)» e si dichiara «disponibile a discutere il problema degli effetti civili del matrimonio canonico». Una bozza sulla quale Moro incassa il «placet» di Nenni che apre la strada alla storica revisione. «Nenni comprese che, all’indomani della pesante sconfitta della Chiesa e dei cattolici nel referendum contro il divorzio, la Santa Sede sarebbe stata obbligata a rivedere ogni tipo di oltranzismo in materia di riforma dei Patti del 1929 e che il centrosinistra non doveva indugiare ad intavolare negoziati con il Vaticano», rivela Francesco Margiotta Broglio, studioso di relazioni tra Stato e Chiesa e presidente della commissione governativa per l’attuazione dell’accordo. «A nessun altro leader del centrosinistra venne fatto conoscere il documento riservato che Moro consegnò a Nenni. Moro agiva attraverso il suo consigliere di fiducia, ambasciatore Pompei e con la consulenza di Leopoldo Elia, mentre Paolo VI aveva affidato la questione al segretario Cei, Bartoletti, che godeva della piena fiducia del Pontefice. Nenni capì, anche per la spinta del Pci di Berlinguer e la presenza laica dei repubblicani nel governo Moro, che si doveva superare la spaccatura provocata dal referendum del ‘74 sul divorzio e che andava presa sul serio la disponibilità di un pontefice scosso dal risultato inaspettato della consultazione popolare». Nenni, poi, conservava per Moro gratitudine politica - ricorda Margiotta Broglio - dai tempi del primo centrosinistra (1962) quando il leader dc appoggiò l’apertura al Psi. E al tempo stesso voleva regolare i conti all’interno del Psi, allora guidato da Francesco De Martino, contrario al Concordato, che considerava un retaggio fascista. Pochi mesi dopo, sconfitto alle elezioni, De Martino sarebbe stato defenestrato al Midas dal delfino di Nenni, Bettino Craxi l’uomo che, non a caso, da presidente del Consiglio avrebbe poi siglato il nuovo Concordato modellato sullo schema del documento approvato segretamente da Nenni. Da parte sua Moro, che aveva vissuto la Costituente, sapeva che i socialisti erano il partito che pretendeva una revisione in profondità degli accordi del ‘29. Racconta il cardinale Giovanni Lajolo che partecipò alla trattativa: «Dopo il passaggio monarchia-repubblica e il Concilio Vaticano II, bisognava mettere mano ai Patti Lateranensi. L’atmosfera era cambiata. L’accordo di Villa Madama è in realtà è una nuova concezione dello strumento Concordato. Si vede l’impronta del Vaticano II e della Cei. Secondo il principio di sussidiarietà, la Santa Sede tiene in mano le cose che richiedono una sua presenza diretta, ma le cose più importanti, quelle che incidono sulla carne, sul corpo vengono lasciate alla conferenza episcopale». Dal sì inatteso di Nenni del ‘76 alla sigla del 1984 il percorso è complicato. Testimonia Lajolo: «Non ho mai avvertito la presenza di Craxi se non al momento della firma. Le trattative sono state lunghe, i partiti avevano i loro rappresentanti, per esempio Cardia per Berlinguer, altri per Spadolini o la Dc. Poi in commissione si faceva il crogiuolo e si tirava fuori ciò che si poteva. Ma la cosa del tutto abnorme era che ciascuno riferiva non al governo bensì al proprio partito». Il problema pratico, però, era che i governi ogni sei mesi andavano in crisi. «Le trattative si bloccavano non appena si sentiva aria di crisi e riprendevano solo qualche mese dopo che il nuovo governo era in carica. Per arrivare a un accordo ragionevole si è tirato per le lunghe più del necessario, ma il Concordato del 1984 è molto moderno anche se non tutti sono d’accordo, persino nella Chiesa, non solo tra i laici. I delegati italiani ci dicevano cosa fosse realizzabile e cosa no. Non scoprivano le carte. Non sappiamo quanto abbiano inciso i singoli leader politici, ma di fatto non era il governo che dava le istruzioni, bensì le segreterie dei partiti». Nel 1982, sottolinea Margiotta Broglio, «Spadolini era arrivato molto vicino all’accordo con il segretario di Stato, Casaroli, ma le vicende dello Ior impedirono di sottoporre al Parlamento un testo che sarebbe stato travolto dalle reazioni a quegli eventi, come dimostrò l’irrigidimento del cattolico Andreatta». I governi Andreotti, Cossiga e Forlani «non riuscirono a far accettare al Vaticano le modifiche più delicate che nel 1983 Craxi ottenne attraverso la mediazione politica tra Gennaro Acquaviva e il ministro degli Esteri, Silvestrini». In Germania, precisa Lajolo, «lo Stato sovvenziona totalmente la scuola cattolica e l’azione caritativa della Chiesa tedesca all’estero. In Italia tutto ciò sarebbe impensabile, però, dopo 25 anni, quello di Villa Madama resta un buon Concordato».
Giacomo Galeazzi (La Stampa, 17 febbraio 2009)
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