"Noi abbiamo ucciso Aldo Moro"
Marco Dolcetta per “l’Unità”
A Parigi, di passaggio dagli Usa, Steve Pieczenik - invitato dal giornalista
Emmanuel Amara per intervistarlo per una serie di trasmissioni tv in Francia e
la presentazione di un libro - ci permette di avere un colloquio con lui.
Durante il sequestro Moro furono molto attivi tre Comitati per la gestione della
crisi: ci sono pochi dati per ricostruire con precisione l'attività di questi
gruppi, in quanto dagli archivi del Viminale a detta del senatore Sergio
Flamigni, membro della Commissione Stragi, sono scomparsi i verbali delle
riunioni e altri documenti.
L'americano Pieczenik, assistente del Sottosegretario di Stato, era il capo
dell'Ufficio per la gestione dei problemi del terrorismo internazionale del
Dipartimento di Stato Usa, Ufficio che era stato istituito da Henry Kissinger.
Come ci ha confermato l'ex ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, Pieczenik
venne invitato subito dopo il rapimento di Aldo Moro a fare parte di un Comitato
di esperti cui faceva capo, appunto, Cossiga, per fare fronte all’emergenza. Al
suo fianco c'era anche il criminologo Franco Ferracuti, che in seguito risultò
far parte della P2.
Era allora il responsabile della cellula antiterrorista del Dipartimento di
Stato. Finito il suo incarico alle dipendenze dell'Amministrazione Usa, molto
dopo il caso Moro ha incominciato a scrivere numerosi romanzi di spionaggio.
«Ben Reid, che dipendeva da Cyrus Vance, il ministro degli Esteri, mi convocò -
racconta Pieczenik - nel suo ufficio. Si rivolsero a me perché avevo studiato ad
Harvard e al Mit. Poi Kissinger qualche tempo dopo mi incaricò di dirigere la
prima cellula antiterroristica degli Usa. Nel 1978 l'Italia, fino al rapimento
Moro, era abbastanza trascurata dai nostri. Quando arrivai mi resi subito conto
che il Paese era nel caos.
Scioperi continui, manifestazioni sindacali ed estremisti di sinistra, mentre
l'apparato dello Stato rimane in mano a vecchi fascisti che poi mi sono reso
conto erano stati infiltrati dalla P2. Fra l'altro ho potuto constatare con il
ministro dell'Interno di allora Cossiga che costui non aveva nessuna strategia
ne alcun piano d'azione».
Cossiga ha parole forti nei confronti di quanto Pieczenik dice: «È alla ricerca
di notorietà, visto che ha intrapreso definitivamente la sua attività di
scrittore per i libri e per il cinema... Fa affermazioni quanto meno azzardate».
«Quello che mi aveva sorpreso - chi parla ora è sempre Pieczenik - in quei
giorni è che i gruppi fascisti tenevano in permanenza le leve del potere in
Italia. Mi resi conto in fretta che anch'io ero poco al sicuro. Mi ero quindi
reso conto che le Br avevano degli alleati all'interno della macchina dello
Stato. Dopo qualche riunione che consisteva nell'identificare il centro di
gravità attorno al quale la storia del rapimento girava, ho subito capito che le
forze conservatrici volevano la morte di Moro, le Br lo volevano vivo, i
comunisti invece, la loro posizione era quella della fermezza politica.
Francesco Cossiga lo voleva sano e salvo ma mi diede carta bianca per elaborare
una strategia. Il primo punto della mia strategia consisteva nel guadagnare del
tempo, mantenere in vita Moro e al tempo stesso il mio compito era di impedire
l'ascesa dei comunisti di Berlinguer al potere, ridurre la capacità degli
infiltrati nei Servizi e immobilizzare la famiglia Moro nelle trattative.
Cossiga non gestiva interamente la strategia che volevo sviluppare.
Tutto il sistema italiano era inaffidabile. Negli incontri al vertice, avevo di
fronte quella che mi veniva presentata come l'elite dirigente, dei dinosauri
dell'epoca mussoliniana e i loro giovani cloni. Erano soprattutto i membri dei
Servizi. Anche i Servizi Segreti del Vaticano mi avevano detto di fare molta
attenzione. Gli stessi Servizi Segreti del Vaticano ci avevano aiutato molto a
capire come le Br si erano infiltrate nello Stato. Fra gli altri, i
simpatizzanti di estrema sinistra comprendevano anche i figli di Bettino Craxi e
una delle figlie di Moro».
Pieczenik, continua a raccontare anche nel libro dal titolo “Noi abbiamo ucciso
Aldo Moro” scritto con Emmanuel Amara, che sta per uscire in Francia presso
l'editore Patrick Robin, decise la strategia per risolvere a modo suo il caso
Moro. «Lessi le molte lettere di Moro e i comunicati dei terroristi. Vidi che
Moro era angosciato e stava facendo rivelazioni che potevano essere lesive per
l'Alleanza Atlantica. Decisi allora che doveva prevalere la Ragione di Stato
anche a scapito della sua vita. Mi resi conto così che bisognava cambiare le
carte in tavola e tendere una trappola alle Br. Finsi di trattare.
Decidemmo quindi, d'accordo con Cossiga, che era il momento di mettere in
pratica una operazione psicologica e facemmo uscire così il falso comunicato
della morte di Aldo Moro con la possibilità di ritrovamento del suo corpo nel
lago della Duchessa. Fu per loro un colpo mortale perché non capirono più nulla
e furono spinti così all'autodistruzione. Uccidendo Moro persero la battaglia.
Se lo avessero liberato avrebbero vinto. Cossiga ha approvato la quasi totalità
delle mie scelte e delle mie proposte e faceva il tramite con Andreotti».
Il senatore Sergio Flamigni considera la presenza di Pieczenik di fondamentale
importanza per l'esito avuto da tutta la vicenda Moro, identico interesse lo ha
sempre dimostrato anche la magistratura italiana che si era interessata della
questione. Uno di quei giudici, Rosario Priore, ci ha ricordato come a più
riprese anche la Commissione Stragi presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino,
abbia chiesto la sua testimonianza che però a suo tempo, all'ultimo minuto, ha
sempre rifiutato. Rosario Priore però ricorda anche come quei Comitati fossero
formati da esperti che in seguito si rilevarono essere «antenne» di servizi di
Intelligenza di molte potenze straniere.
«Sono stato io - continua Pieczenik - a decidere che il prezzo da pagare era la
vita di Moro. La mia ricetta per deviare la decisione delle Br era di gestire un
rapporto di forza crescente e di illusione di negoziazione. Per ottenere i
nostri risultati avevo preso psicologicamente la gestione di tutti i Comitati
dicendo a tutti che ero l'unico che non aveva tradito Moro per il semplice fatto
di non averlo mai conosciuto. Un giorno chiesi a Cossiga, guardandolo negli
occhi se mi potevo fidare di lui. Lui rispose francamente : «Lei non può»…
Presi in mano la situazione e decisi clinicamente come gestire l'esito finale
delle Br, uno scambio mortale in termini di stabilità per il Paese e per i suoi
alleati. Cossiga era sempre informato sulla mia strategia e non poteva fare
altro che accettare. Le Br invece potevano fermarmi in un attimo ma non hanno
saputo farlo o voluto, questo non lo so. Avrebbero potuto concludere una
trattativa con lo Stato, ottenendo delle pene ridotte liberando Moro ma erano
troppo legati alla loro logica terrorista, in cui si preferisce essere più
terroristi del terrorismo di Stato che io così bene conosco».
Cossiga vuole ribadire come le affermazioni attuali di Pieczenik non siano
coerenti rispetto al suo atteggiamento di un tempo. Dopo aver realizzato il suo
piano, Steve Pieczenik, in gran silenzio, come era venuto, se ne ritorna negli
Usa. Più volte richiesta la sua testimonianza alle varie Commissioni
parlamentari sul sequestro Moro, non si è mai presentato.