Maria Agnese Moro parla di suo padre
L'agguato ad Aldo Moro, presidente della
Democrazia cristiana rapito a Roma in via Fani, nel marzo del 1978, lasciò tutto
il mondo senza fiato. Il sequestro avvenne mentre stava andando in parlamento
con la scorta per partecipare al dibattito sulla fiducia dell'ennesimo governo
Andreotti, costituito con l'appoggio e l'ingresso del Partito comunista italiano
nella maggioranza. Per realizzare cioè il cosiddetto "compromesso storico".
Paolo VI, amico di Aldo Moro scrisse: «Uomini delle Brigate rosse, restituite
alla famiglia Aldo Moro». Appello che non ricevette ascolto. Dopo 55 giorni di
prigionia, il cadavere dello statista fu ritrovato nel bagagliaio di una Renault
R4 rossa.
La figlia di Moro, Agnese, il 28 sarà in città per partecipare al "Sabato del
villaggio" con l'ex segretario della Dc Mino Martinazzoli. Alle 18 nel Teatro
Grandinetti ci sarà anche il governatore Agazio Loiero. Alla Gazzetta del Sud
Agnese Moro racconta le sue sensazioni alla vigilia dell'appuntamento.
È già stata in Calabria?
«Sì, mia nonna paterna era di Cosenza. Faceva la maestra, è morta nel 1939, non
l'ho mai conosciuta, ma veniva ricordata in famiglia come una persona
eccezionale. Per me la Calabria è bellissima e rappresenta qualcosa di
importante».
Suo padre nel 1963 costituì il primo governo
con il Psi fondando l'idea del centrosinistra. L'obiettivo era indebolire il Pci
costringendolo all'isolamento per allargare la base democratica. Eppure nel 1976
ne accettò l'appoggio parlamentare. Quale il motivo di questa decisione, e c'è
nesso tra questa scelta e l'agguato di cui fu vittima delle Brigate rosse due
anni dopo?
«Certamente lui era in una posizione esposta, cercava di allargare la base della
democrazia in Italia facendo entrare nel governo più persone anche di diverso
ceto sociale. Era impegnato in tal senso anche nei confronti del Partito
comunista. Lui diceva sempre "due vincitori alle elezioni comportano un
problema". Era esposto, ma garantiva lui con la sua persona».
Voi componenti della famiglia quali idee
avete sul mandante dell'omicidio?
«Ci sono delle idee ma preferirei non parlarne. Per me quello che è importante
che la gente sappia è che lui si era impegnato in prima persona».
Che età aveva lei nel 1978 e chi l'ha
aiutata a superare quel tragico periodo della sua vita?
«Avevo venticinque anni. Mi hanno aiutata gli amici, ma soprattutto la fede. Ho
sempre sentito la vicinanza di Dio anche in quel momento».
Aldo Moro era in buoni rapporti sia con Papa
Giovanni XXIII che con il suo successore Paolo VI, è vero?
«Erano amici con mio padre. In quel momento burrascoso un allargamento al
Partito socialista aveva creato perplessità. Papa Giovanni XXIII ebbe un ruolo
importante, quello di incoraggiare questa autonoma iniziativa».
Ci indica quali le peculiarità caratteriali
di suo padre che vuole che la gente ricordi?
«Era una persona super impegnata, ma che amava riposarsi in modo semplice:
raccogliendo frutta in campagna o con una nuotata a mare. Lui è stato oltre che
uomo politico, un professore universitario. Amava anche scrivere, leggere, stare
con noi della famiglia».
Con gli altri come si poneva?
«Era caratterialmente gentile, mai aggressivo e non portava mai i suoi problemi
a casa. Sempre ironico, ha cercato di dare il meglio di sé nella politica e
nella sua vita privata».
Lei è sociopsicologa, impegnata
nell'Accademia di studi storici "Aldo Moro". Cosa ne pensa della politica
attuale?
«È alla ricerca di nuovi equilibri, sarà molto interessante seguirne
l'evoluzione».