Ha combattuto una
guerra furibonda contro lo Stato. Ha sparato e ucciso, è stato uno dei
comandanti di Prima linea. Oggi si volta indietro e dice: «Per fortuna all’epoca
del sequestro Moro lo Stato non trattò. Una qualche forma di riconoscimento dei
terroristi, avrebbe significato un trionfo per le Brigate rosse. Avremmo avuto
altri sequestri, altri morti, altri illusi sulla via della violenza. Per questo
le parole di Prodi sul caso Mastrogiacomo mi paiono sciagurate».
Nel 1978 Maurice Bignami stava dall’altra parte e giocò una sua carta in quelle
ore drammatiche: «Fui contattato subito dopo il rapimento di Moro dai
palestinesi: i moderati, almeno così apparivano allora, di Al Fatah, radicati
anche in Italia».
Come mai?
«All’epoca io ero già stato in carcere per terrorismo anche se non ero ancora
entrato in Prima linea. Però avevo buoni contatti con gruppi eversivi stranieri
di molti Paesi».
Che cosa
le dissero gli emissari di Al Fatah?
«Erano sconvolti per quel che era successo. Sostenevano che le Br avevano
commesso una follia, si erano cacciate in un vicolo cieco perché non erano
attrezzate in alcun modo per avviare una qualche forma di trattativa con lo
Stato. Bene, anche se era tardi, loro si offrivano, per quel che potevano, di
svolgere il ruolo di mediatori fra lo Stato e le Br».
Lei?
«Contattai i vertici di Prima linea e per il loro tramite feci arrivare
l’offerta alle Br. Non dimentichiamo che allora c’erano rapporti regolari fra
brigatisti e piellini. Ci vollero parecchi giorni ma il messaggio arrivò a
destinazione».
La
risposta?
«Fu nettissima e durissima. Almeno quindici giorni prima del ritrovamento del
corpo di Moro in via Caetani le Br risposero che avevano deciso di uccidere il
prigioniero. Non volevano trattare e avevano già stabilito il macabro finale.
Non c’era spazio per niente e per nessuno».
Fu la loro
sconfitta?
«Fu dal punto di vista politico un errore colossale. Le Br con il rilascio
unilaterale del prigioniero avrebbero moltiplicato i consensi nel Paese e
avrebbero calamitato le frange estreme che già praticavano la violenza di massa.
Saremmo arrivati, e non è fantascienza, al reclutamento alla luce del sole».
Lo Stato
in ogni caso aveva deciso di non dialogare: anche quello fu un errore?
«No, per carità fu una scelta saggia. Di più: doverosa. L’unica possibile».
Perché?
«Primo: per rispetto ai cinque agenti che erano morti e per le loro famiglie.
Secondo: perché la guerra è la guerra, non si scende a compromessi col nemico».
Uno
scambio di prigionieri che cosa avrebbe comportato?
«Un effetto dirompente nel Paese che già mostrava, in alcune sue aree, poco
rispetto per i morti e molta simpatia per i terroristi. In quel momento non si
potevano legittimare le Br. Proviamo a immaginare uno scambio di prigionieri: il
giorno dopo le Br avrebbero rapito qualcun alto e alzato il prezzo, lo Stato
avrebbe dovuto pagare un pedaggio ancora più elevato in una spirale di sangue e
orrore senza fine. I giovani poi sarebbero accorsi ad ingrossare le formazioni
combattenti. Un disastro».
Non
c’erano alternative al partito della fermezza?
«Per me, no. Poi se lei mi chiede perché il Pci fu così intransigente, io credo
che entrarono in ballo altre motivazioni, assai meno nobili. Il Pci ci teneva a
giocare la parte del paladino della democrazia, a marcare la distanza
dall’ultrasinistra pararivoluzionaria. Non importa, si può perseguire un fine
giusto anche se con motivazioni sbagliate o parziali. La risposta dello Stato,
per quanto faticosa, salvò molte vite umane ed evitò un bagno di sangue negli
anni successivi. Per questo trovo incaute le parole di Prodi oggi».
La ragion
di Stato deve prevalere sul rispetto della vita umana?
«Il problema non è questo, il punto è che frasi del genere sono un invito ai
talebani a rapire qualcun altro».
La
trattativa è sempre un errore?
«Certo, attraverso i servizi segreti un qualche margine c’è sempre. Io non mi
scandalizzo se sottobanco i talebani sono stati pagati per risolvere questo o
quel caso. Ma ci dev’essere un limite. Qui invece il governo si è comportato in
modo dilettantesco e ha offerto ai talebani un successo di immagine clamoroso.
Un errore che pagheremo fino in fondo».